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L'argilla (o meglio le argille) sono sostanze naturali provenienti dal mondo minerale e si estraggono in apposite cave situate a cielo aperto. I vasai di Appignano usano attualmente quelle provenienti dalla zona di Gualdo Tadino.
Le argille di Gualdo Tadino sono argille bianche di color nocciola chiaro al momento del prelievo che dopo essere state impastate con l'acqua si presentano di colore grigiastro. Chimicamente sono dei silicati di alluminio contenenti metalli, metalloidi e non metalli. La madre delle argille sono delle rocce particolari dette feldspati le quali sotto l'azione degli elementi atmosferici si sono trasformate diventando appunto argille che si sono aggregati in forma di strade composte da microgranuli appiattiti di dimensioni inferiori a 2 millesimi di millimetro.
Questi sono stati poi ricoperti da altro materiale sedimentario e sono rimasti imprigionati sul fondo dei fiumi e degli oceani primordiali compattandosi a diverse profondità.
Come avveniva un tempo la lavorazione prima dell'argilla? La terra arrivava in bottega sotto forma di blocchi che venivano spezzettati con l'accetta per far saltare fuori le brecce e altre impurità. A questi incombenza erano addette anche le donne di casa. Dopo una prima ripulitura veniva messa in una buca che si trovava in ogni bottega. Questa buca era a terra, una stanza in muratura di circa un metro e mezzo di lato, profonda circa un metro che poteva contenere l'intero carico di un biroccio di terra e una quindicina di brocche l'acqua. L'argilla veniva mescolata con una palla e lasciate riposare per diverse ore poi veniva messo a scolare in un angolo.
L'argilla dopo essere stata mescolata e scolate in un angolo era sottoposta ad un ulteriore trattamento: il rito della battitura. Su uno spesso bancone di quercia veniva lavorata con una verga di ferro pesante cinque o sei chili. Lo scopo era eliminare i grumi e rendere l'impasto morbido e omogeneo. Un ulteriore trattamento era la macinatura, che tale in realtà non era, ma così la chiamavano i coccià.
Nel corso del procedimento si impastava l'argilla facendola passare tra due rulli ravvicinati che giravano grazie un grosso volano di ferro. Nel secondo dopo fu sostituito da un più comodo motore elettrico. Dopo ripetuti passaggi non c'erano più bolle d'aria e la massa veniva ricomposta in un unico blocco l'argilla e ripulita. Veniva poi lasciata in terra sotto lo straccio umido e al momento dell'uso veniva pressata della trafila prelevando nella quantità giusta per il pezzo che si doveva plasmare.
Il tornio è uno strumento che esiste da migliaia di anni e deriva dalla ruota da carro girata a mano. Si compone di una pesante ruota-volano in legno collegata con un asse in ferro ad una piccola ruota anch'essa in ferro, anticamente il legno in gesso.
L'asse oltrepassa la ruota e va ad incastrarsi in una sede posta in terra, in genere una pietra forata.
La struttura del tornio appignanese era addossata ad una parete e murata insieme con essa. Era costituita da un'intelaiatura di travetti di legno alla quale erano fissati il ripiano , il sedile e un sostegno per il piede non utilizzato per far girare la ruota.
Il meccanismo di rotazione appoggiava a terra, in genere su una pietra forata nel centro poi rimpiazzata da cuscinetti a sfere, la punta in ferro dell'asse verticale vi si innestava subito al di sotto della ruota di legno posta orizzontalmente che manteneva per un certo tempo la forza impressa le con colpi cadenzati dalla gamba sinistra dal dietro verso l'avanti. La ruota trasmetteva il movimento al piano del tornio per mezzo di un asse che sorgeva su un massiccio cilindro sul quale si trovava il piano rotante di lavoro in mancanza lubrificanti di tipo industriale si fasciavano i perni di fuori di rotazione con la cotenna di maiale.
Come si iniza a tornire? Si prende l'argilla necessaria e si forma una palla usando tutte e due le mani, poi si pone al centro del piatto che viene messo in moto. Questa operazione si chiama centraggio ed è essenziale per tutte le operazioni successive.
Le mani devono coprire l'argilla lateralmente e sopra per evitare che durante l'operazione di centraggio esta tende ad alzarsi e assottigliarsi introducono dolcemente i pollici nella massa dando la palla la forma di una tazza.
Ora lo spessore si comincia a stringere dolcemente e partendo dalla parte inferiore la massa comincia a prendere forma e le pareti iniziano ad alzarsi superiore deve essere più spessa di quella inferiore.
E' la riserva di argilla da utilizzare per il successivo innalzamento delle pareti. L'argilla viene fatta salire premendo con le mani poste di taglio fino a formare un cilindro.
Lo spessore delle pareti va tenuto sempre uniforme costringendo l'eventuale eccesso di argilla a salire verso l'alto con la pressione sulle pareti con una mano intaglio dall'interno in contrastando con la stecca dall'esterno si fanno ancora salire le pareti si comincia a costringere la parte superiore verso l'interno avvicinando la forma definitiva il tornante stretto l'apertura del manufatto ritirando l'avambraccio continuando a contrastare la pressione dall'esterno con le dita il pezzo completo.
In mancanza di essiccatoio al coperto di tipo industriale, per l'essiccazione si faceva affidamento sul Sole i cui movimenti costringevano gli artigiani e le loro famiglie a ruotare i pezzi e passarli all'ombra la luce più volte durante la giornata.
La sera bisognava riportare le stoviglie in lavorazione al chiuso e tempo permettendo era necessario poi ritirarle fuori fuori all'alba del giorno successivo. Il processo non doveva essere troppo rapido altrimenti i pezzi si rompevano e d'estate bisognava evitare la piena esposizione. Il giusto tempo per una perfetta essiccazione non poteva essere stabilito a priori, ma variava a seconda delle dimensioni del manufatto, del clima dell'esposizione, del modo in cui era custodito cioè girato e spostato.
Non di rado era in una stanza separata dal laboratorio vero e proprio e consisteva in una costruzione di mattoni alta e stretta piuttosto profonda, dalle pareti spesse una quarantina di centimetri. Il fronte della fornace era largo poco più di un metro, alto circa 4 e la profondità a volte superava i 3 metri nella parte basso. Qui si bruciava la legna e le fiamme guizzavano attraverso aperture praticate nella volta lungo le pareti della camera di cottura. Gli archi venivano utilizzati come una sorta di termostato nella prima fase della cottura e costituivano la parte più delicata. La temperatura aumenta a 300 gradi centigradi: quando i pezzi erano di colore rosso la loro cottura era al punto giusto.
Impossibile lavorare a mani nude in un ambiente dove le temperature raggiungevano quasi 1000 gradi: i ferri del mestiere erano due, già descritti da Piccolpasso nel 500 e che servivano per sistemare le fascine fino in fondo al focolare mentre l'altro serviva a spostare la brace verso i punti più freddi e tirarla fuori a cottura ultimata.
I colori utilizzati nella produzione delle cocce di Appignano sono stati pochi e sempre gli stessi fino al secondo dopoguerra: il marrone, il nero, il verde e un colore indefinibile che qualche volta veniva bianco sporco altre volte giallo pallido o giallo verdognolo. Tutti presentavano diverse gradazioni secondo la mano del vasaio, secondo il tempo trascors e l'approssimazione con cui alcuni determinavano il rapporto sabbia e piombo.
In linea con l'arte di arrangiarsi era anche il modo di dare il colore. Se il pezzo da verniciare era di tipo economico come la classica brocca d'acqua, veniva applicato un semplice "bavarolo" di samaltatura, un bavaglino attorno al versatoio per evitare la formazione di muffe e l'accumulo di sporcizia. A volte le brocche erano completamente smaltate e la superficie esterna delle brocche smaltate era decorata con strisce nere lunghe al collarino alla pancia più due corte sotto il versatoio.
La poltiglia che si formava sulle mani durante la tornitura che veniva utilizzata per attaccare le anse e serviva anche per uniformare la superficie del disco in modo che il colore restasse più brillante. Alcuni la mescolano con la segatura di legno per i decori in rilievo sulla superficie dei piatti da parete e dei vasi ornamentali.